Prima parte
di Riccardo Bubbio
Facendo una rapida ricerca con Google e scrivendo “benessere e salute sui luoghi di lavoro” vengono estratti (solo pagine in italiano) 43 milioni di documenti, se restringo la ricerca dicendo “convegni su benessere e sicurezza sui luoghi di lavoro” vengono proposte più di un milione di pagine … non c’è dubbio che il tema è rilevante sia per li legislatore nazionale e comunitario che per le Aziende, oltre ad impattare almeno 18milioni di lavoratori.
I dati ci dicono che…
Dal rapporto dell’Osservatorio sul welfare aziendale di Edenred Italia (dati 2024) si evince che il 42% delle aziende oggi ha introdotto un piano di welfare strutturato. La percentuale sale al 53% tra le aziende con oltre 1.000 dipendenti. Il buono pasto si conferma anche nel 2024 come il benefit più erogato dalle aziende (41%), seguono i servizi per la salute con il 31%, le convenzioni e le scontistiche con il 25%, la flessibilità organizzativa con il 24% e attività di formazione al 22% e i buoni acquisto al 18%.
Ma gli investimenti in welfare hanno un ritorno per le aziende? Adottare un piano welfare favorisce l’engagement delle Persone e di conseguenza la produttività aziendale?
Se leggiamo i dati di Edenred troviamo che i che nel 73% dei casi i lavoratori che hanno un piano di welfare si sentono maggiormente ingaggiati: in particolare il 62% dei dipendenti indica nel sentirsi molto responsabilizzato verso gli obiettivi aziendali, e più della metà delle persone si sentono anche apprezzate e coinvolte.
L’inversione del 2020
Se invece leggiamo il report “State of the Global Workplace – The voice of the world’s employees” 2024, elaborato da Gallup vediamo che se fino al 2020 il trend di soddisfazione dei dipendenti era stato in continua crescita, registrando le percentuali più alte di sempre, a partire dal 2020 si è verificata un’inversione di tendenza, vedendo l’engagement crollare a picco e poi mantenersi stabile su percentuali inferiori, senza più tornare crescere.
Ma a preoccupare non è solo l’impegno dei dipendenti: attraverso i dati raccolti da Gallup il quadro che viene fuori è quello di una generazione di lavoratori che si trova a fare i conti con altissimi livelli di tristezza, stress e insoddisfazione. Nello specifico, il rapporto evidenzia come una persona su cinque si trovi a fare i conti ogni giorno con un costante senso di solitudine. Numeri ancora peggiori per i dipendenti under 35 che lavorano da remoto: in questo caso la percentuale sale al 25%.
Paradossalmente, questo coincide con un periodo di elevato benessere materiale e con un periodo di sviluppo e di progressi nella tecnologia, senza precedenti e -come abbiamo visto – in un momento un cui si cerca in tutti i modi di supportare il benessere sui luoghi di lavoro sia tramite interventi legislativi che tramite maggiori investimenti delle aziende in tema di welfare.
Bias o neurofenomeni?
I due fenomeni sembrano apparentemente contraddirsi: le Persone dichiarano che il benessere in azienda è fonte di motivazione, ma anche a fronte di un aumento dei progetti a supporto delle Persone, l’engagement sembra essere in forte diminuzione: proviamo dunque a trovare una possibile spiegazione dei comportamenti umani che stanno dietro ai numeri riportati dagli enti di ricerca.
Partiamo dal considerare la complessità della mente umana che non risponde in maniera univoca agli stimoli e provare a comprendere – anche tramite l’aiuto delle Neuroscienze – cosa accade nella nostra mente quando siamo in un ambiente di lavoro. Il cervello umano tende a essere neofobico, ovvero ostile alle novità: qualunque cambiamento dell’ambiente percepito come potenzialmente dannoso rischia di innescare una reazione di allarme. Il cervello odia l’ambiguità e ha costantemente bisogno di fare previsioni, calcolando rapidamente minacce e opportunità per mantenere una posizione di controllo. Questo modo di operare è frutto di millenni di evoluzione nel quale i nostri antenati vivevano a stretto contatto con pericoli fisici (animali feroci, tribù nemiche, cataclismi naturali) senza avere praticamente nessuna difesa nei confronti dei cambiamenti visti come fenomeni soprannaturali. È quindi comprensibile che la nostra mente sia avversa al cambiamento!
Leggi qui la seconda parte dell’articolo.
Dello stesso autore
Neuroscienze al lavoro uno strumento fondamentale per chi lavora in team
Riccardo Bubbio
Vicepresidente dell’Associazione per la Direzione del Personale Piemonte e Valle d’Aosta e coordinatore del progetto Neuroscienze applicate al HR, autore di libri e articoli e conference speaker.
Ha ricoperto numerosi ruoli manageriali in aziende bancarie, occupandosi di Risorse Umane e di modelli organizzativi; si è specializzato nello studio e della applicazione delle nuove metodologie formative e di sviluppo competenze connesse al cambiamento e alla trasformazione della cultura aziendale.
Ha contribuito alla scrittura e curato la pubblicazione del libro “Il Cervello al lavoro” Franco Angeli 2022 e del libro “PlaytheBrain – neuroscienze al lavoro” Franco Angeli 2024.
Svolge attività di docenza presso l’Università degli Studi di Torino ed è membro del Comitato Scientifico del Master in Organizzazione e Risorse Umane presso la stessa Università.
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