di Jessica Gandolfo

Negli ultimi mesi, mi sento chiedere spesso come si riesca a gestire il proprio team a distanza. Poi andando ad indagare un po’ più in profondità, la tematica resta importante anche per quella parte di team che è tornata in presenza. Anche perché, al giorno d’oggi, ci troviamo tutti in una condizione piuttosto “variegata”: chi ha un giorno di smart working, chi ne ha tre, chi nemmeno uno, chi può scegliere e preferisce “vestirsi” per andare in ufficio, chi invece concilia meglio gli impegni familiari restando direttamente a casa, e così via… le variabili in gioco sono talmente tante che per le aziende (e i loro manager) risulta davvero complesso scegliere la strada migliore, perché si rischia di scontentare sempre qualcuno. E sappiamo che quando si crea malessere in organizzazione, le persone performano meno, disinvestono nel lavoro e possono persino guardarsi attorno alla ricerca di soluzioni alternative. Ritengo che questo sia proprio l’esatto contrario di ciò a cui mirano le organizzazioni oggigiorno. 

La domanda che sorge spontanea è dunque: cosa si può fare? come agire? 

Una risposta semplice, lineare e assoluta ovviamente non c’è (come sempre quando si parla di persone, perché fortunatamente siamo tutti portatori di bisogni e desideri differenti). Ma, da consulente e psicologa, sono mossa da una forte scopo professionale, cioè dalla volontà di voler provare a fornire uno spunto su cui ragionare e concentrare le proprie energie/risorse per tenere a buon livello, quanto meno, l’ingaggio dei propri collaboratori nel medio-lungo tempo.

Districandomi in una mole di dati notevole (già, perché dal 2020 tutte le organizzazioni del mondo si sono ritrovate nella stessa situazione: dal “tutti a casa” al “come li facciamo rientrare, in che modo?”), ho messo insieme una miscela di 4 argomenti, li definirei dei veri e propri pilastri, su cui poggiare azioni e comportamenti manageriali adeguati per “provare” a rispondere alla domanda iniziale.

Parte tutto da un acronimo: T.E.A.M.  Cosa potrebbero significare queste lettere messe insieme?

Di per sé già sembra funzionare, perché l’obiettivo per mantenere buone relazioni a distanza (ma anche in presenza sia chiaro) è sicuramente quello di avere creato un forte senso di squadra. 

Ma oltre al bel gioco di parole cosa abbiamo? Perché li ho definiti dei pilastri, cioè le basi da cui partire per poter poi costruire tutto il resto?

Prova a pensarci un momento, prima di proseguire con la lettura: cosa fa funzionare un team? Cosa serve? Se fosse una ricetta quali sarebbero gli ingredienti di base? Cosa fai già tu, senza magari accorgertene o cosa invece magari fai coscientemente? Cosa funziona e cosa no, per mantenere buone relazioni con il proprio team?

Prendi un foglio di carta e scrivi le prime 4-5 cose che ti vengono in mente, di pancia. Vedrai che alcune le ritroverai dentro al modello!

Di Julia M.Cameron da Pexels

Eccoli qui schematizzati i punti cardinali del modello T.E.A.M.:

T come TRUST

La FIDUCIA tra le persone, a tutti i livelli, è la base di tutto.

E come EMPATHY

L’intelligenza emotiva ha notevoli vantaggi in termini di business, oramai lo sanno tutti.

A come AGILITY

Essere agili non significa conoscere gli strumenti della metodologia agile, ma avere una mente agile. C’è una bella differenza: posso conoscere i modelli ma avere una mentalità rigida e fissa sui vecchi schemi, per cui farò sempre fatica a cambiare approccio e addirittura a far funzionare la metodologia agile. A quel punto mi dirò che per la mia azienda l’agile non funziona, ma è davvero così? È l’agile che non si adatta alla mia realtà o invece è stato il mio mindset a non essere sufficientemente allenato negli ultimi tempi nel ricercare la novità, nel vedere i cambiamenti inaspettati come un’opportunità, nell’accettare i rischi che fare le cose in modo diverso, all’inizio, può portare (come ad esempio commettere degli errori)? Sono davvero pronto per “disimparare per re-imparare”?
È evidente che questo non è un problema del metodo agile ma del nostro modo di processare le informazioni e di metterci a sistema con esse. È questione di mindset! Dobbiamo, in primis lavorare, su noi stessi, passando da una modalità reattiva (“ho sempre fatto così”) ad una di crescita (“proviamo in questo modo, voglio proprio vedere come andrà”).

M come MEANING

Ricordiamoci che un gruppo sceglie di stare insieme perché appartiene in qualche modo a quelle persone, condividendone lo scopo, la missione (volontariato, ambientalisti, harleysti, tifosi, gruppo musicale, artisti etc.); un team invece è composto da persone diverse, con competenze diverse, che non si conoscono e che, però, hanno un obiettivo comune, sebbene non definito da loro stessi, ma definito dalla loro organizzazione o dal loro manager. Ecco perché risulta fondamentale supportare le persone nella definizione del loro Meaning – Senso di Scopo e significato all’interno del team!

Potendo osservare e vivere diverse organizzazioni (dall’automotive alla farmaceutica, dal luxury al marketing, dalla PMI alla multinazionale) ho chiesto direttamente alle persone che cosa significassero per loro questi punti e come renderli concreti e significativi, calandoli nel loro day-by-day, quindi non solo come un modello teorico da seguire pedissequamente.

Ecco alcuni spunti di riflessione che spero possano fornire al lettore delle valide linee guida!

Le persone sostengono che contribuirebbe a creare un clima di maggior FIDUCIA, offrire più:

  • chiarezza e trasparenza dei ruoli all’interno del team > “chi fa cosa”
  • vicinanza e conoscenza in eventi interni (anche piccoli) per instaurare un rapporto autentico tra le persone
  • condivisione di opinioni in meeting formali e informali
  • confronti e feedback periodici, pre e post progetto
  • delega graduale sulla base dello sviluppo delle competenze della risorsa
  • valutazione programmata della performance (ad es. due volte l’anno)
  • affidabilità, ovvero disponibilità nel mantenere le promesse e nel portare avanti non solo i propri obiettivi ma anche quelli dei propri collaboratori, rispettando ambizioni e aspettative di tutti

Inoltre, le cose che aumenterebbero il super potere dell’EMPATIA potrebbero essere:

  • organizzare eventi e attività di team building, anche non istituzionali ma di team, per aumentare i momenti positivi
  • fare colloqui di confronto e ascolto one to one con cadenza settimanale e durata di 15 minuti
  • inviare survey mensili per comprendere come si stia (il clima) e ottenere feedback sul team (cosa funzioni e cosa no)
  • indagare e conoscere le passioni extra lavoro delle persone > creare un ciclo di TED interno per condividere conoscenze
  • bon ton aziendale > rispettare l’orario di lavoro nella pianificazione delle riunioni/call, quindi adattare anche lo scheduling alle persone (ad es. ha figli? meglio 9.30) e proporre queste istanze anche al cliente
  • staffare i colleghi anche in base a preferenze/attitudini (es. settore); costruire team misti che si supportino a vicenda

Cosa contribuirebbe a creare un ambiente maggiormente AGILE?

  • organizzare delle riunioni di condivisione su dove siamo e dove stiamo andando: tutti i giorni, 10 minuti
  • dare visione del progetto e degli obiettivi high level: on going, focal point, check-point 
  • assegnare un obiettivo e fornire delle linee guida lasciando spazio alla creatività nel risolvere imprevisti 
  • concedere l’errore, come momento di apprendimento e formazione; creare simulazioni interne per gestione clienti o progetti complessi > cosa faresti tu?
  • Implementare job rotation interna e reverse mentoring, affiancando persone altamente senior e junior
  • condividere e concordare le pianificazioni: senza calarle dall’alto, chiedere opinione anche agli junior sulle tempistiche 
  • creare dei check-point ogni 2-3 giorni settimanali, in base al tipo di progetto, piuttosto che un continuo controllo giornaliero

E il MEANING infine, da che cosa è sostenuto?

  • sapere che i manager investono sulla crescita personale delle proprie persone
  • proporre corsi e certificazioni al fine di ampliare il bagaglio di competenze
  • responsabilizzare > dare l’autonomia necessaria a crescere, gestione autonoma dei task ed esposizione verso il cliente
  • supportare nella definizione degli obiettivi utili all’avanzamento di carriera
  • stimolare le risorse ad accogliere nuove responsabilità e opportunità interne
  • dare libertà di movimento e scelta alle risorse al fine di far percepire di poter fornire un contributo tangibile
  • allocare la risorsa su progetti di interesse, al fine di massimizzare il suo coinvolgimento
  • creare un ambiente di lavoro positivo, attraverso una trasparente e autentica gestione del team
  • migliorare le soft skill delle risorse attraverso le occasioni di confronto giornaliere

Come è ovvio che sia, cosa fare concretamente con le proprie persone è qualcosa che va calato nella propria realtà con attenzione e concentrazione, non è un modello copia-incolla. Ma credo, e spero, che possa essere anche il bello del lavoro del manager, quello di doversi sempre inventare nuove soluzioni in base alla squadra e allo stadio di sviluppo della stessa (non saranno valide per sempre le prime soluzioni identificate). 

Quindi ti lascio con un esercizio da completare. Riprendi il foglio di prima e ritagliati un momento per riflettere su cosa già fai (qualcosa ci sarà sicuramente) e quindi che devi continuare a     portare avanti, su cosa invece potresti fare di più (mettere un boost attentivo su attività che dovresti sostenere di più) e infine su cosa non fai ancora e dovresti proprio iniziare a fare (per il benessere tuo e del team). 

Buon allenamento!

 

Jessica Gandolfo

Psicologa, specializzata in Lavoro e Organizzazioni, Team Builder, Coach (ACSTH® Erickson International), Consulente nell’area Risorse Umane e Leader di Yoga della Risata (Laughter Yoga International University). Interviene nei processi di sviluppo delle persone, realizzando Focus Group e indagini di Clima Organizzativo, percorsi di sviluppo per Talenti, Team Coaching, Team Building e attività di Assessment e Development Center. Effettua interventi formativi sul Benessere Organizzativo, Comunicazione Efficace, Gestione del cambiamento, Leadership, Intelligenza Emotiva, Gestione del conflitto, Gestione dei collaboratori, Feedback e Creatività. Specializzata nella sensibilizzazione delle dinamiche di gruppo seguendo la metodologia di Lewin del Training Group – di Enzo Spaltro (Università delle Persone); certificata come OMT trainer (Master in Outdoor Management Training® e formazione esperienziale) – di Marco Rotondi presso IEN Business School, diplomata CSEN nei 9 pilastri della Scienza del Sé – di Sandro Formica, Miami (USA) e certificata al metodo dell’Happy Coaching® – di Rosanna Gallo presso Eu-tròpia. E’ appassionata di Sviluppo delle persone nelle organizzazioni, Creazione di valore attraverso attività lavorative, Individuazione e valorizzazione dei talenti, Formazione e aggiornamento sia delle capacità sia delle competenze. Supporta anche progetti nel no profit, negli enti scolastici e negli eventi di divulgazione culturale. Co-Autrice del libro «La felicità è una scienza e si può apprendere», Franco Angeli 2022.

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