di Pasquale Dui
La donazione quale strumento per il passaggio generazionale
Nella disamina delle norme sul patto di famiglia si assegna, spesso e giustamente, rilevanza nei riguardi della donazione, la quale, invero, costituisce uno strumento possibile per il passaggio generazionale.
Il patto di famiglia e la donazione sono assoggettati alla stessa fiscalità indiretta, essendo possibile, in entrambi i casi, beneficiare della fascia di esenzione di cui all’art. 3, comma 4 ter, d.lgs. 346/1990, nella stesura ultima, disposta dal d.lgs. 139/2024, in vigore dal 1° gennaio 2025.
La donazione è rappresentata da un contratto a struttura semplificata. La donazione può essere gravata da un onere, ma l’inadempimento nella esecuzione dell’onere non determina l’inefficacia della donazione a meno che non sia previsto espressamente nell’atto di donazione. Ferme restando le limitazioni esistenti in relazione alle quote di legittima, la donazione può essere effettuata a favore di chiunque.
Il patto di famiglia, diversamente, può avere come beneficiari solo i discendenti. Devono partecipare al patto tutti quelli che sarebbero i legittimari se l’imprenditore morisse in quel momento.
Quanto ricevuto non è soggetto a collazione o riduzione. Non viene quindi effettuata la riunione fittizia.
L’art. 768 sexies c.c. prevede che il legittimario sopravvenuto, ad esempio perché l’imprenditore si risposa, non ha diritto ai beni ma solo il diritto di essere liquidato in denaro. Inoltre, non si considera il valore al momento dell’apertura della successione, bensì al momento in cui è stato posto in essere il patto di famiglia.
Ciò determina una cristallizzazione del valore dell’azienda al momento in cui viene fatto il patto di famiglia.
Possono ipotizzarsi i seguenti casi, innestati in una situazione di questo genere, a titolo di esempio: patrimonio costituito da una azienda, titoli o altro in denaro, proprietà immobiliari. L’imprenditore vuole mantenere la proprietà dell’immobile, adibito ad abitazione principale per la moglie. Vuole attribuire al primo dei figli la titolarità dell’impresa e la proprietà degli altri immobili e alla moglie la liquidità.
Esaminiamo dunque alcune possibili opzioni di disposizione del patrimonio, per confrontarle con il patto di famiglia, nei suoi profili di opportunità.
Donazione con testamento
L’ipotesi principale prevede la donazione dell’impresa al primo figlio e gli immobili agli altri figli. Alla moglie viene lasciata la liquidità per testamento.
Questa soluzione è esposta al rischio di una azione di riduzione al momento della morte dell’imprenditore, quanto meno in base alla considerazione che per i controlli sul rispetto dei diritti dei legittimari occorre fare una valutazione di stima con i valori vigenti al momento dell’apertura della successione.
Dovrà altresì essere scorporata dal valore attuale dell’azienda la quota di incremento attribuibile alla gestione apportata dal primo figlio, operazione tutt’altro che semplice. L’azienda potrebbe anche essere diminuita di valore dal momento della donazione a quello dell’apertura della successione, con i medesimi problemi di calcolo.
Donazione dei beni in comunione ai figli e testamento per il coniuge
Una ulteriore ipotesi potrebbe essere quella di effettuare ai figli la donazione dell’impresa e degli immobili.
In questo caso spetterà ai figli la divisione dei beni in comunione.
Il pregio della soluzione è quello di evitare l’azione di riduzione perché tutti e tre hanno ricevuto i medesimi beni. La successione è un atto tra di loro. I fratelli, che ricevono a seguito di divisione i beni immobili, non possono più avanzare pretese sul maggior valore che l’azienda dovesse assumere per l’attività svolta proficuamente dal fratello.
Non mancano, tuttavia, criticità di altra natura.
Se si tratta di un’impresa individuale o di una società in nome collettivo, tutti i figli acquisiscono una responsabilità illimitata. Inoltre, manca la possibilità di applicare il comma 4 ter, art. 3, d.lgs. 346/1990 in quanto non vi è un periodo di detenzione di 5 anni in capo al donatario.
Patto di famiglia e liquidazione dei legittimari da parte del disponente
In questo caso l’assegnatario è tenuto a liquidare gli altri legittimari.
In sostanza, non si riesce per questa via a disattivare la collazione e la riduzione.
Non si può trovare in tal senso neppure conferma dal successivo comma 3 dell’art. 768 quater, c.c., a mente del quale “I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti; l’assegnazione può essere disposta anche con successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purché vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti”.
La norma vuole inquadrare il patto di famiglia come una sorta di donazione modale. I legittimari ricevono la liquidazione dall’assegnatario dell’azienda o delle quote ma è come se avessero ricevuto una donazione indiretta dal disponente per cui devono imputare tali attribuzioni alla loro quota di legittima.
In caso di liquidazione diretta, avremo il patto di famiglia in relazione all’azienda e una donazione in relazione agli immobili. I donatari degli immobili si trovano in una posizione deteriore rispetto all’assegnatario dell’azienda in quanto saranno soggetti all’azione di riduzione e alla collazione, mentre chi ha ricevuto l’azienda è messo al riparo da queste azioni.
La soluzione, tuttavia, presenta anche dei vantaggi. L’operazione è semplice ed il carico fiscale è tutto sommato modesto in quanto il passaggio degli immobili sconterà l’imposta di donazione in misura agevolata.
Inoltre, si riesce a cristallizzare il valore dell’azienda.
Donazione in comunione degli immobili
Una ulteriore soluzione ipotizzabile è quella della donazione ai figli degli immobili in comunione.
Successivamente si implementa il patto di famiglia con cui si trasferisce l’azienda ad un solo figlio. Gli altri fratelli non rinunciano alla liquidazione e questa verrà operata dall’assegnatario dell’azienda con l’attribuzione della sua quota di un terzo sugli immobili agli altri fratelli.
Successivamente ancora, questi fratelli scioglieranno la loro comunione.
In questo caso la madre rinuncia alla liquidazione in quanto riceverà per testamento la liquidità.
Per liquidare i fratelli si deve prendere come riferimento il valore dell’azienda ma non esiste alcuna norma che prevede la necessità di una perizia.
I fratelli potrebbero rinunciare parzialmente, ad esempio accettando una liquidazione parametrata su di un valore dell’azienda inferiore rispetto a quello effettivo.
Un significativo vantaggio della soluzione è rappresentato dalla eliminazione dell’azione di riduzione. Ciò in quanto gli immobili sono stati trasferiti in comunione e l’azienda è stata trasferita attraverso un patto di famiglia.
L’assegnatario dell’azienda beneficia sia del comma 4 ter, art. 3, d.lgs. 346/1990, sia della cristallizzazione del valore dell’azienda che non può più essere messo in discussione.
Un grosso profilo di criticità, è il caso di ribadirlo, è tuttavia legato alla fiscalità della liquidazione da parte dell’assegnatario dell’azienda. Nonostante l’inefficienza fiscale, la soluzione è molto buona sotto il profilo civilistico in quanto mette al riparo da future contestazioni tra i fratelli.
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Pasquale Dui
è avvocato in Milano, dove opera dal 1982, occupandosi, di diritto civile e di diritto del lavoro. Ha sempre affiancato all’attività professionale l’insegnamento universitario, nelle materie del diritto privato e del diritto del lavoro. Ha curato la pubblicazione di 20 libri e di numerose monografie scientifiche, aventi per oggetto, tra l’altro, questioni civilistiche e lavoristiche. Organizza anche, per conto di primarie società operanti nel campo della convegnistica in presenza e on line, l’organizzazione di conferenze in ambito civile e lavoristico, essendo stato ed essendo ancora oggi relatore in molti simposi dedicati all’approfondimento delle materie suddette. È iscritto nell’Albo dei giornalisti e collabora correntemente con i principali quotidiani italiani, anche e soprattutto economici (Il Sole 24 Ore). È inoltre iscritto nell’albo dei Revisori Contabili (Revisori Legali).
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