di Riccardo Bubbio

“L’intelligenza artificiale (IA) sta rivoluzionando radicalmente il modo in cui lavoriamo, e questa trasformazione impone una necessaria riflessione sulle competenze richieste e sugli impatti che essa ha sui processi di gestione delle risorse umane.

Quando parliamo di competenze necessarie in questo nuovo contesto, emergono alcuni aspetti chiave. In primo luogo, l’acquisizione di competenze tecniche legate all’IA diventa cruciale. Questo comprende la capacità di utilizzare strumenti basati sull’IA, come l’apprendimento automatico e l’analisi dei dati, nonché la comprensione dei principi di base dell’IA. Inoltre, le abilità di problem solving e pensiero critico sono sempre più richieste. Anche se l’IA può automatizzare molte attività ripetitive, è essenziale che gli individui mantengano la capacità di analizzare situazioni complesse, risolvere problemi e prendere decisioni informate…”

Il testo che trovate sopra virgolettato è stato scritto da ChatGPT in versione gratuita: ho solamente indicato l’argomento nel prompt e l’intelligenza artificiale mi ha scritto un bell’articolo di 7000 caratteri proprio come gli avevo chiesto: ora alzi la mano chi se ne era accorto prima di leggere questo mio “coming out”!

Avrei probabilmente potuto mandare in redazione l’articolo cosi’ composto e senza nessuno sforzo avreste avuto una prima panoramica di quello che sarà l’impatto della tecnologia sui luoghi di lavoro: ma partendo da questo mio piccolo esercizio possiamo porci alcune domandi essenziali per il futuro lavorativo di tutti noi: in futuro sarà distinguibile il lavoro fatto dal IA rispetto a quanto fatto dalle persone umane? 

Quali e quanti lavori potranno essere sostituiti da una macchina, e con che riduzione di “effort” (termine soft per dire: quante persone lasciamo a casa)? A quali rischi andiamo incontro sostituendo “gli umani” con le macchine? 

Stiamo esplorando un mondo nuovo, e più che avere risposte risulta importante farsi delle domande, ma proviamo ad azzardare alcuni ragionamenti prospettici sul nostro futuro lavorativo.

Il lavoro fatto dalle macchine in alcuni casi non è e non sarà distinguibile da quanto prodotto da un essere umano anche in caso di richieste che escono da una pedissequa osservanza di un protocollo specifico: personalmente ho chiesto a ChatGPT di elaborare alcune “job description” e il risultato è stato migliore di quello che avevo realizzato con modalità tradizionali (e sono 35 anni che mi occupo di Hr) per cui da questo breve esempio potremmo riscontrare che nel prossimo futuro non avremo speranza: le macchine sembrano lavorare meglio di noi e inoltre non si stancano, non si ammalano e non vanno neppure in ferie! Ma c’è un ma… ciò che produce l’IA non è creativo e non è innovativo; la macchina elabora molto bene un pensiero se questo è gia’ presente nel suo immenso database (magari a noi non noto ma presente) se invece è un pensiero nuovo, un invenzione, una scoperta, un nuovo modo di rappresentare un concetto l’IA non sarà in grado di rappresentarlo: possiamo affermare che ChatGPT o ogni altro motore generativo non avrebbero mai scoperto l’equazione della relatività di Einstein, ma dopo che Albert ha pubblicato le sue ricerche, ora riescono a spiegarlo  forse meglio di alcuni docenti.

L’impatto sul mondo del lavoro sarà comunque dirompente, specie nelle attività professionali e intellettuali al momento poco impattate dall’automazione dei processi produttivi più tecnologici; alcuni studi (cft. Assign the impact of GenAI on Workforce Productivity /BCG) prevedono una possibile riduzione fino al 40% del tempo per le attività di operation e di customer service e fino al 20% sulle attività ad alto tasso di competenza come strategie e general management; da qua risulta facile intuire le ricadute occupazionali. 

Di fronte a un terremoto organizzativo come sopra esposto occorre però farsi nuovamente alcune domande; ad esempio, chiedersi quanto costerà questa trasformazione in termini di budget per l’introduzione delle nuove tecnologie, che necessità ci sarà di acquisizione dal mercato di nuove competenze e/o di upskilling delle competenze esistenti ma soprattutto se e come sarà possibile re-impiegare le Persone la cui attività sarà automatizzata! Questo dovrà avvenire sia tramite il potenziamento dei processi aziendali relativi al core business, sia attraverso la definizione di nuovi mercati o nuove attività parallele da sviluppare: se non faremo ciò rischiamo la più grande crisi occupazionale mai capitata dagli anni Trenta ad oggi. 

Ma andiamo oltre, mettiamo da parte per un momento il tema occupazione e analizziamo invece le criticità inerenti all’introduzione degli algoritmi provando a individuare i possibili rischi. economici, legali e di natura sociale. 

Introdurre tecnologie di intelligenza artificiale costa, costa molto per l’addestramento della tecnologia stessa, per i costi delle figure professionali specializzati che dovranno “istruirla” e non ultimo per il grande costo energetico che la potenza di calcolo richiede: tanto per fare un esempio è stato calcolato dal Politecnico di Torino che teoricamente è possibile costruire dei droni che tramite l’intelligenza artificiale si occupino della vendemmia dei pregiati vigneti piemontesi, riconoscendo automaticamente i grappoli arrivati a giusta maturazione, raccogliendo e separando gli acini, ma il costo di gestione delle apparecchiature sommato al costo energetico necessario per le elaborazioni (mappatura del territorio, riconoscimento dei singoli acini, calcolo delle traiettorie dei droni, pressione da applicare per raccogliere l’acino) è superiore al salario della manodopera specializzata utilizzata nella raccolta.

Per quanto riguarda il rischio legale, sono gia’ noti casi in cui nella ricerca di precedenti giudiziari – indispensabile nei processi dei paesi che seguono la “common law” gli avvocati si siano serviti di strumenti di IA salvo poi verificare che il precedente ricercato non era conforme a quanto “riassunto” dall’IA e in alcuni casi il precedente proprio non esisteva e si trattava di un’invenzione pura dell’algoritmo. Su questo tema arrivando a casistiche più vicino a noi, sono gia’ molti gli istituti creditizi che usano strumenti di intelligenza artificiale per il calcolo del rating creditizio, su questo tema è intervenuta anche l’Eba – l’Ente di regolazione Europeo in materia di banche e credito (EBA/GL/202/06) con un documenti che prescrive che gli algoritmi siano conosciuti da chi gli adotta e spiegabili a chi ne è oggetto (al cliente); di fatto la macchina calcola ma il referente bancario deve essere sempre in grado di spiegare gli algoritmi e le determinazioni dell’algoritmo al cliente finale. 

Inoltre, occorre valutare con attenzione gli impatti psicologici e sociali: la perdita del lavoro e l’insicurezza economica possono avere effetti negativi sulla salute mentale e sul benessere sociale delle persone. La paura di essere sostituiti dall’IA può causare ansia e stress nei lavoratori. Inoltre, la disoccupazione può portare a sentimenti di isolamento sociale e perdita di identità professionale

In particolare, questa preoccupazione riguarda maggiormente gli individui impiegati in lavori che coinvolgono compiti manuali o fisici che hanno una percezione più negativa dell’impatto della tecnologia sulle loro carriere, mentre coloro coinvolti in compiti con maggiore qualificazione hanno un atteggiamento più positivo. (cfr “Perceptions about the impact of automation in the workplace” Jan. 2020 Information Communication and Society).

Andiamo incontro alla creazione di un mercato del lavoro a due velocità: un mercato di nicchia e non saturo delle competenze digitali e di professionalità ad alta specializzazione e un più vasto mercato di professioni a prevalenza operativa dove l’offerta potrebbe risultare a breve molto più ampia della domanda.

Queste sono solo alcune delle possibili categorie di rischi a cui stiamo andando incontro, altre le scopriremo man mano che l’IA prenderà piede nei processi produttivi: possiamo però ipotizzare che l’avanzamento rapido delle nuove tecnologie sia inevitabile e le organizzazioni stiano appena iniziando questo percorso non esente di rischi ed ostacoli. 

Al momento non ci sono facili ricette per una transizione indolore, ma sicuramente è necessario uno sforzo congiunto di imprese, strutture pubbliche, politica e società civile per definire strategie sostenibili che salvaguardino produttività, occupazione e benessere sociale per non rischiare di ritornare ad un mercato del lavoro “post rivoluzione industriale” 

Ma, per concludere, dobbiamo sempre ricordarci che l’IA si nutre di terabyte per ottenere la risposta più probabile ad una domanda, mentre la mente umana tramite una quantità limitata di informazioni è in grado di creare connessioni, fornire spiegazioni e generare creatività e innovazione e per cui nessuna macchina potrà (per ora) sostituirla!

 

Bibliografia 

(1) 

Il cervello al lavoro – neuroscienze in azienda – dalla teoria alla pratica  LEGGI LA NOSTRA RECENSIONE

 

Riccardo Bubbio

Vicepresidente dell’Associazione per la Direzione del Personale Piemonte e Valle d’Aosta e coordinatore del progetto Neuroscienze applicate al HR, autore di libri e articoli e conference speaker.

Ha ricoperto numerosi ruoli manageriali in aziende bancarie, occupandosi di Risorse Umane e di modelli organizzativi; si è specializzato nello studio e della applicazione delle nuove metodologie formative e di sviluppo competenze connesse al cambiamento e alla trasformazione della cultura aziendale.

Ha contribuito alla scrittura e curato la pubblicazione del libro “Il Cervello al lavoro” Franco Angeli 2022 , ed è prevista l’uscita nel corso del 2024 del secondo volume

Svolge attività di docenza presso l’Università degli Studi di Torino ed è membro del Comitato Scientifico del Master in Organizzazione e Risorse Umane presso la stessa Università.