di Alessandra Filippetti

Il mondo sta cambiando più velocemente che mai. Le organizzazioni lottano per rimanere competitive, i clienti sono più smaliziati, hanno aspettative più alte, le persone che abitano le organizzazioni pretendono chiarezza, vogliono assumersi delle responsabilità, partecipare come attori e non più come  soggetti passivi alla creazione di valore, perseguono un senso di scopo.

Per tutte queste ragioni, e non solo per queste, il termine “agile” è ormai entrato nel linguaggio comune di aziende e professionisti e i leader moderni hanno compreso che l’agilità è un obiettivo da perseguire per far fronte alle nuove sfide.

Tuttavia non sempre abbiamo chiaro cosa significa davvero “essere agili”, come affrontare la transizione, cosa fare, quali passi seguire, a quali dimensioni fare attenzione e cosa aspettarsi.

Rispondere alla domanda: “Ma come è fatta un’organizzazione agile?” può essere un esercizio piuttosto impegnativo.

Non pretendo certo di avere la risposta, ma posso provare a fare un po’ di chiarezza e stimolare una riflessione su alcuni temi che ritengo centrali quando si parla di agilità:

  • Hierarchies VS Networks
  • Specialization VS Generalization
  • Efficiency VS Effectivity
  • Centralization VS Decentralization
  • Exploitation VS Exploration.

Hierarchies VS Networks

Trasformarsi in un’organizzazione agile passa necessariamente da un ripensamento del nostro modello organizzativo che, tipicamente, si traduce nella transizione da una struttura puramente gerarchica ad una struttura a rete (con tutte le sfumature di grigio intermedie che troviamo tra un estremo e l’altro e di cui parleremo tra un po’).

Hierarchies.

Quella gerarchica è la struttura organizzativa più comune: è altamente probabile che anche tu stia lavorando in una azienda organizzata in questo modo.

In una struttura di questo tipo l’organigramma è la forma utilizzata per rappresentare visivamente i livelli di autorità, le dipendenze, chi risponde a chi, le responsabilità e via discorrendo.

Attorno alla struttura e ai diversi ruoli sono organizzati tutti i nostri processi aziendali: pianificazione, budgeting, personale, marketing, vendite, ecc.

Nella struttura gerarchia, nata e diffusasi nello scorso secolo, regole, policy e processi creano prevedibilità, facilitano il coordinamento e riducono il carico cognitivo, poiché le persone trovano risposte pronte a situazioni note e di routine.

In fondo l’obiettivo è di eliminare le anomalie, standardizzare i processi, risolvere problemi a breve termine e perseguire l’efficienza.

In un certo senso, parafrasando John Kotter, lavorare in un’azienda strutturata in questo modo è un po’ come viaggiare in un’auto con il “pilota automatico”: siamo tutti idealmente posizionati come ingranaggi in una macchina che lavora in modo costante, automatico e prevedibile.

Tutto molto comodo ma… peccato che questo tipo di organizzazione rende di fatto impossibile perseguire l’innovazione e il cambiamento. Qualsiasi nuova opportunità verrà interpretata come “rumore” o “disturbo” e, nel migliore dei casi, verrà ignorata perché non in linea con l’obiettivo principale: mantenere l’equilibrio del sistema.

Siamo talmente abituati a questo tipo di organizzazione che, semplicemente, pensiamo sia l’unica possibile.

Ma è davvero così?

Networks.

Se il modello gerarchico poteva garantire efficienza, efficacia e redditività un secolo fa, nel mondo VUCA (acronimo di Volatility, Uncertainty, Complexity e Ambiguity) digitalizzato e interconnesso che abitiamo oggi è semplicemente illusorio e anacronistico sperare di prosperare senza essere in grado di adattarsi e trasformarsi rapidamente.

È necessario un design più appropriato che decentralizzi radicalmente l’autorità in modo formale e sistematico in tutta l’organizzazione.

Le reti rientrano in questa categoria. Configurazioni in cui l’autorità è decentralizzata, persone e gruppi agiscono come nodi indipendenti, si collegano trascendendo i confini istituzionali delle strutture funzionali a cui appartengono, lavorano insieme per un obiettivo comune e collaborano volontariamente spinte dalla condivisione di valori e principi e dal senso di appartenenza.

Nella rete risiede l’intelligenza collettiva. Un network di persone, con le loro inter-connessioni, è di solito più creativo e più innovativo rispetto ad una struttura fondata su un’autorità centrale.

Senza contare che le strutture gerarchiche degenerano facilmente nella deriva dei silos: feudi impenetrabili nei quali non si condividono obiettivi, manca totalmente la prospettiva sistemica e spesso non si parla nemmeno la stessa lingua.

In questi contesti le responsabilità e gli obiettivi sono compartimentalizzati e il flusso di lavoro è rallentato e reso inefficiente da numerosi hand off formali tra gruppi diversi, processi lenti e burocratici, cicli infiniti di approvazione e comunicazione basata per lo più sullo scambio di documenti ed email.

In una struttura a rete:

  • l’autorità non proviene dalla gerarchia, ma dalle conoscenze e abilità riconosciute alle persone e ai team: decide chi è più prossimo al problema;
  • i collegamenti vanno oltre i confini convenzionali;
  • i membri e i team si adattano rapidamente a contesti che cambiano;
  • il management non ha come obiettivo il controllo ma l’empowerment delle persone;
  • le persone sono libere di esplorare nuovi modi di lavorare
  • il contesto è “blamess” e le persone sperimentano una sensazione di “sicurezza psicologica”: il fallimento è considerato parte integrante del processo di apprendimento e innovazione, le persone si sentono protette dalla loro organizzazione perché sanno che non verranno punite se falliranno
  • i team vengono formati e sciolti sulla base delle esigenze e delle opportunità.

Specialization VS Generalization.

Il Knowledge Work richiede certamente specializzazione (approfondimento, verticalizzazione), ma l’innovazione richiede generalizzazione (ampliamento, trasversalità).

Le economie di specializzazione rendono la divisione funzionale la più comune. Ma l’innovazione ci impone di fare cose che non abbiamo mai fatto prima e di adattarci rapidamente e quindi è incompatibile con l’iperspecializzazione verticale tipica dell’organizzazione puramente funzionale.

Efficiency VS Effectivity.

L’efficienza si focalizza sugli output, sull’ottimizzazione delle risorse e sul controllo dei costi.

L’efficacia si concentra sull’outcome, sul raggiungimento degli obiettivi, sul flusso di valore, sulla velocità (time-to-market) e sui ricavi.

Possiamo accontentarci della sola efficienza se operiamo in contesti prevedibili e mercati stabili ma dobbiamo puntare all’efficacia quando ci muoviamo in ecosistemi complessi, competitivi e instabili.

Centralization VS Decentralization.

Le decisioni centralizzate sono coordinate, limitano gli sprechi e riducono i costi ottimizzando l’utilizzo delle risorse.

Le decisioni decentralizzate sono più rapide, utilizzano informazioni locali e sono più adatte a contesti ambigui, mutevoli e in rapida evoluzione.

Exploration VS  Exploitation.

L’innovazione è possibile quando unità autonome sonlo lasciate libere di esplorare (Exploration) idee dirompenti e innovative.

D’altra parte le organizzazioni devono capitalizzare gli investimenti già fatti sfruttando (Exploitation) gli asset esistenti in modo efficiente.

Eccoci arrivati al nodo della questione.

Le aziende (tutte le aziende) vivono costantemente in bilico tra due scelte apparentemente dicotomiche:

  • impiegare efficacemente le risorse e sfruttare gli asset esistenti (Exploitation) o innovare cogliendo le nuove opportunità per rimanere competitive (Exploration)?
  • La routine di tutti i giorni o il “Cigno Nero” (per dirla alla Taleb)?

Forse la soluzione sta nel mezzo ed è quella di aiutare le nostre organizzazioni a raggiungere un “equilibrio ambidestro” in grado di far convivere le due anime di Exploration e Exploitation.

Duncan (1976) ha per primo utilizzato il termine “ambidestrismo” per riferirsi ad organizzazioni in grado di “progettare strutture duali che possano facilitare le fasi di avvio e attuazione del processo di innovazione”.

Venti anni dopo, Tushman e O’Reilly aggiungono che un’organizzazione, per potersi considerare ambidestra, debba contemporaneamente cogliere le opportunità offerte dall’exploration e dall’exploitation.

Puntare all’equilibrio ambidestro come antidoto al cosiddetto “Paradosso di Icaro” per cui un’azienda, dopo aver raggiunto il successo, tende con il tempo a stratificare certe routine e ingessare i propri processi fino a diventare vittima della propria inerzia strutturale e culturale e incapace di innovare.

Per concludere.

Fortunatamente abbiamo a disposizione diversi strumenti con cui riempire la nostra “cassetta degli attrezzi” per bilanciare le strutture organizzative garantendone il controllo e l’efficienza senza sacrificarne l’agilità:

  • Small Teams
  • T-Shaped People
  • Value Units
  • Semi-stable Teams
  • Replace Job Titles
  • Communities of Practice
  • Open Allocation
  • Double Linking
  • Team Number One
  • Local Rules.

Ci vediamo presto per approfondire tutto questo, per cui rimani sintonizzato e non perderti i prossimi articoli. Ti aspettiamo!

Linkografia:

https://management30.com/

https://hbr.org/2011/05/two-structures-one-organizatio

https://hbr.org/2004/04/the-ambidextrous-organization

https://www.linkedin.com/pulse/hierarchies-networks-naomi-stanford/?trk=articles_directory

https://hbr.org/2018/05/agile-at-scale

Alessandra Filippetti

Sono Alessandra Filippetti, appassionata Agile Evangelist. Adoro la birra artigianale, mangerei sushi anche a colazione e sono Queen e Freddie Mercury dipendente. Odio annoiarmi, sono curiosa come un gatto e allergica alla banalità, alla burocrazia e alla mancanza di gentilezza e coraggio. Dopo aver maturato un’esperienza ventennale come manager IT ed aver guidato molti progetti come Project Manager nel 2010 sono “inciampata”, quasi per caso, negli approcci agili ed è stata illuminazione sulla via di damasco! Da allora ho fatto dell’agile il mio mestiere e, da Project Manager “pentita”, ho abbracciato il lato agile della forza. Socia e volontaria del PMI Central Italy Chapter dal 2013 e, dal 2018 del’Italian Agile Movement, ho fondato AgilePlaza, la mia startup totalmente focalizzata su servizi di Formazione, Consulenza e Coaching Agile & DevOps. Ma questo è solo … il primo Sprint!  Se volete rimanere in contatto con me, mi trovate su Linkedin e su Facebook oppure scrivete a alessandra.filippetti@agileplaza.it