Per un project manager vincoli e opportunità sono pane quotidiano. Sappiamo, tuttavia, che ci sono vari tipi di progetti. Quelli a finanziamento europeo possono avere qualche vincolo/opportunità ulteriore; se poi parliamo dei programmi quadro per la ricerca e l’innovazione sembra persino un mondo a parte. Nel nuovo programma quadro per la ricerca e l’innovazione, Horizon Europe, c’è il vincolo della scienza aperta.
Cosa significa?
Il concetto che anima la Open Science è molto semplice: la ricerca finanziata con soldi pubblici deve essere resa immediatamente disponibile alla comunità («every EU citizen has the right to access and benefit from knowledge produced using public funds», Neelie Kroes, European Commission).
La Open Science ha i suoi principi che sono: trasparenza, riproducibilità, collaborazione, inclusività, accessibilità, accuratezza, riuso. Con Horizon Europe si intensifica quel processo già agli albori in Horizon 2020 mediante il quale la Commissione europea (e anche altri enti finanziatori) si pone in modo deciso a favore della Open Science, chiedendone l’obbligatorietà per i progetti che finanzia. In Horizon Europe, tra l’altro, il peso dato alla gestione dei dati della ricerca diventa sempre più importante. Sappiamo, da Graham Steel (OS Advocate), che «publishing research without data is simply advertising, not science»; per questo, occuparsi dei dati e gestirli in modo attento sta diventando cruciale nel processo scientifico. Le «evidenze» (pessima e fuorviante traduzione dall’inglese che ormai si utilizza comunemente, soprattutto tra gli addetti ai lavori) scientifiche sono spesso alla base di molte decisioni politiche e questo è, ovviamente, una valida motivazione per condividere in modo rapido e aperto i dati relativi alla ricerca. Lo scopo della Commissione europea è quello di diffondere le pratiche di una corretta gestione dei dati della ricerca, nel rispetto dei principi FAIR (findable, accessible, interoperable and reusable), tramite un Data Management Plan che è anche un deliverable di progetto. Non solo: seguendo le raccomandazioni di Carlos Moedas (past Commissioner for Research, Innovation and Science), i dati devono essere “as open as possible, as closed as necessary”. Il mandatory dell’indicazione di come le pratiche di Open Science verranno integrate nella metodologia dei progetti finanziati in Horizon Europe, l’obbligo di un DMP (Data Management Plan) e di pubblicare in Open Access, sono vissuti dai ricercatori come vincolo, pesante e ulteriore adempimento burocratico e non come un servizio per la comunità, quale la scienza è.
Perché è chiaro a “quei burocrati” dei finanziatori e non a chi la ricerca la vive quotidianamente e la pratica?
Cito Roberto Caso (Professore Associato di Diritto Privato Comparato all’Università di Trento, Facoltà di Giurisprudenza, e co-direttore del Gruppo LawTech): “La scienza aperta è l’unico modo di fare scienza. In altri termini, dovrebbe scavare la differenza tra adempimento burocratico e obbligo morale (o anche semplice opportunità per se stessi e per tutti). Ma i ricercatori vivono nel mondo dell’università-azienda e hanno ormai talmente metabolizzato la logica dei premi e punizioni da non riuscire a concepire un mondo diverso. Anche quando premi e punizioni non sono istituzionalizzati a livello di ateneo il maggior incentivo a pubblicare in OA (Open Access) è la speranza di essere più citati”. I vantaggi dell’apertura della scienza sono evidenti e li abbiamo sperimentati durante la pandemia quando i grossi editori si sono, finalmente, decisi ad aprire moltissimo materiale legato alle ricerche sulla malattia COVID-19; salvo richiudere in seguito. I maggiori fruitori, invece, tendono a percepirlo come adempimento burocratico. Può essere perché non ci siano, probabilmente, project manager di ruolo in quelle strutture? E in quelle strutture le attività da project management sono, con molta probabilità, invece, divise tra ricercatori e personale tecnico amministrativo. Un ricercatore oberato da tutto ciò che egli considera in più rispetto al proprio lavoro di ricerca, vedrà come tale anche un’opportunità come la Open Science.
Oppure c’è dell’altro?
Probabilmente sono sopravvissuti antichi timori, retaggio di un passato in cui alcuni enti avevano un codice etico che vietava alcuni tipi di comunicazione ai non addetti ai lavori, per timore che chi non avesse gli strumenti per comprendere determinate ricerche potesse fare dei danni. Erano i tempi della scienza chiusa, sebbene la scienza, ai suoi albori, nacque aperta. Eppure, come diceva Jon Tennant (scomparso prematuramente il 9 aprile 2020, è stato un Ambassador for the Center for Open Science and ASAPbio), il contrario della scienza aperta non è la scienza chiusa ma la cattiva scienza, la scienza fatta male (The opposite of Open Science is not Closed Science. It is Bad Science). Inoltre, un sistema a premi e punizioni induce a vedere ciò che viene chiesto come adempimento, senza arrivare a coinvolgere idee e i sentimenti personali delle persone. E, spesso, per alcuni ricercatori, la Open Science richiesta da finanziatori come la Commissione europea, si riduce a strategie per evitare le sanzioni perché tali sanzioni possono riguardare la riduzione o la sospensione dei pagamenti previsti nel Grant Agreement, come cita l’articolo 43 del citato accordo. Investire nel project management integrando dignità di ruolo di project manager nelle organizzazioni che sono sprovviste di queste figure e che partecipano ai progetti a finanziamento europeo, può essere salutato come uno sgravio per alcuni ricercatori. E, forse, solo allora potranno fermarsi a pensare alla Open Science per quella che è: un’incredibile opportunità per tutta la società e non solo un vincolo per pochi singoli.
Bibliografia: Project Management e progetti europei – sinergie, buone pratiche, esperienze a cura di Andrea Innocenti e Marcello Traversi – Franco Angeli Editore
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